
Nella seconda ondata la letalità del coronavirus è stata del 2,4%
L’Iss pubblica un nuovo rapporto con i dati della letalità del Covid in Italia: nella seconda ondata è pari al 2,4%. Come si ottiene questa stima e qual è il confronto con gli altri paesi europei

Covid-19 è sicuramente più pericoloso e letale dell’influenza e – è bene ricordarlo sempre – non paragonabile alla sindrome influenzale. Nella seconda fase dell’epidemia in Italia, chiamata spesso seconda ondata, la letalità del Covid, o meglio il rapporto fra decessi e contagiati noti in totale, risulta pari al 2,4%. Lo mostrano i nuovi dati dell’Istituto superiore di sanità (Iss) in un rapporto che è appena stato divulgato. La letalità risulta dunque più bassa di quella della prima fase in cui però la ridotta esperienza e il minore accesso ai test diagnostici per il coronavirus potrebbe aver falsato il dato.
Perché la letalità è una stima provvisoria e approssimata
La percentuale del 2,4% per la letalità è frutto dell’elaborazione dei dati e di una media ottenuta sulle cifre del mese di ottobre 2021 (dunque attualmente potrebbe essere diversa). La letalità della prima fase dell’epidemia, da febbraio a maggio 2020, risulta pari al 6,6%, quella del periodo estivo, da giugno a settembre 2020, all’1,5% e nel mese di ottobre la media fornisce una percentuale del 2,4%.
Il Case fatality rate
Sappiamo bene che la stima della letalità in un paese varia in continuazione e che è un parametro che dipende dal numero totale di contagiati. Questo numero non è semplice da ottenere e di solito è sottostimato a causa di molti casi non diagnosticati e degli asintomatici. Proprio per questo gli esperti stavolta hanno calcolato la letalità non attraverso il totale dei positivi in Italia, ma mediante un altro parametro, il Case fatality rate (Cfr). Questo parametro è dato dal rapporto fra decessi e numero totale di casi noti perché diagnosticati.
L’Italia: il confronto con l’Europa
Proprio perché il Case fatality rate si basa anche sulle capacità diagnostiche di un paese o di una determinata zona, è difficile fare un confronto sensato della letalità con quella misurata negli altri paesi europei. In generale, spiega l’Iss, emerge che il Case fatality europeo (sulla media della popolazione europea) è più basso di quello ottenuto sulla popolazione italiana. “Questo suggerisce – si legge nel testo dell’Iss – che la struttura per età relativamente più anziana della popolazione Italiana possa spiegare in parte le eventuali differenze con gli altri paesi”.
Un confronto più valido è quello che si ottiene in maniera indiretta, ovvero dalla stima dell’eccesso della mortalità di quest’anno rispetto a quella degli anni precedenti. In questo caso, stando ai dati di Eurostat (pubblicati nel rapporto dell’Iss a pagina 31) in Italia l’aumento medio dei morti (da attribuire in buona parte al Covid) risulta più alto rispetto al valore europeo nella prima fase dell’epidemia e più basso nella seconda ondata, nel mese di ottobre. Se nel nostro paese in marzo e aprile 2020 l’eccesso di mortalità era sopra al 40% (contro il 25% al massimo a livello europeo), nel mese di ottobre siamo sul 13% contro il 17% in Europa.
La letalità nelle regioni italiane
In Italia il Case fatality rate (Cfr) varia anche a seconda delle regioni. Il Cfr più alto si registra in Lombardia (5,7%) e in Emilia-Romagna (5,0%), mentre i livelli più bassi sono stati osservati in Umbria (2,3%) e Molise (2,4%). “L’epidemia ha colpito prevalentemente l’area settentrionale del paese durante la prima ondata (febbraio-maggio)”, si legge nel documento dell’Iss, “per poi estendersi più diffusamente sull’intero territorio nazionale nelle fasi successive. Questa disparità nella distribuzione dei casi nel tempo potrebbe spiegare parte delle differenze del Cfr regionale riferite all’intero periodo esaminato”.
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