
Recensione MacBook Pro 13 M1, la scatola dei tre segreti
Le armi vincenti del nuovo processore Apple Silicon? Progettazione integrata, ottimizzazione delle architetture e integrazione verticale. Lo abbiamo usato per tre settimane per capire come fa ad andare così bene

Esattamente un anno fa pubblicavamo la recensione del MacBook Pro 16, all’epoca il nuovissimo MacBook “grande” di Apple, con schermo maggiorato rispetto alla versione da 15 pollici e processore di punta Intel Core i9 8‑core di nona generazione a 2,3GHz con turbo boost fino a 4,8GHz e scheda grafica AMD Radeon Pro 5500M con 4GB di memoria GDDR6. All’epoca, il massimo che Apple potesse offrire, probabilmente il migliore MacBook Intel di sempre per potenza ed equilibrio (per esempio nella termica) e un dei migliori portatili in commercio in assoluto anche rispetto al mercato dei pc.
Oggi Apple ha completamente ribaltato lo scenario, cannibalizzando tutta la sua gamma per non rallentare l’innovazione portata avanti con il nuovo processore Apple Silicon M1 (del quale abbiamo già parlato diffusamente in passato). Lo ha fatto presentando tre Mac entry-level identici per scocca e caratteristiche funzionali rispetto alla versione dotata di processore Intel: due portatili e un fisso. Cioè un Mac mini, un MacBook Air e un MacBook Pro 13. Abbiamo potuto provare per alcune settimane quest’ultimo, che ha evidenziato fin da subito dei punti di forza notevoli.
Rispetto al Mac mini il MacBook Pro 13 è leggermente meno potente mentre performa sostanzialmente meglio del MacBook Air su carichi di lavoro sostenuto. Apple ha messo lo stesso identico processore, scheda video e memoria condivisa su tutti e tre i computer (il System-on-Chip M1) e le differenze di prestazioni dipendono dalla capacità di raffreddamento delle tre scocche in cui è posizionata la scheda madre con il chip M1. Parlando dei due portatili, in particolare, rispetto al MacBook Air il MacBook Pro 13 ha uno schermo più luminoso (500 nits anziché 400), una batteria più grande (58 watt-ora anziché 50), una ventola (può girare al massimo per più tempo senza rallentare), migliori speaker e microfoni, la touchbar (che ad alcuni non piace). La tastiera è quella, ottima, dell’ultima generazione di MacBook Air e Pro.
Come va il MacBook Pro 13
Nell’utilizzo quotidiano il MacBook Pro si è rivelato una vera e propria sorpresa, all’altezza della sua fama. Il computer ha una batteria che sembra non avere mai fine, il processore non scalda minimamente (in poco meno di un mese non abbiamo mai sentito la ventola e solo una utility per misurarne le rivoluzioni ci ha confermato che era effettivamente attiva) e il SoC M1 è in grado di digerire praticamente tutto quello che gli viene fatto fare. In più, l’interfaccia di Big Sur, la versione di macOS per questi Mac e quelli Intel, è notevolmente più fluida e reattiva. Inoltre, la compatibilità assicurata da Rosetta 2 per le app programmate per l’ambiente Intel è praticamente perfetta e non ha avuto un solo tentennamento. Il computer stesso ha tempi istantanei di risveglio, di passaggio dal monitor interno al collegamento di uno esterno e viceversa. In una frase, questo è come un Mac avrebbe sempre dovuto essere: infaticabile, senza tentennamenti o indecisioni, con potenza e autonomia da buttare.

Il tutto, se vogliamo fare un paragone tra il modello in prova da 1700 euro e il MacBook Pro 16 da 3300 euro, praticamente alla metà del prezzo. Certo, il Pro 16 ha sia uno schermo ben più grande che uno spunto maggiore per i carichi di lavoro sostenuti molto pesanti, ma quest’ultima è più una percezione teorica, da benchmark, perché nell’utilizzo quotidiano sul campo il MacBook Pro 16 si scalda comunque molto, ha una ventola decisamente rumorosa e una autonomia di batteria che non va oltre le sette-otto ore (che crollano a due ore sotto sforzo intenso) mentre il MacBook Pro 13 dura veramente per due giorni: almeno 16-17 ore divise in due tranche per dare un po’ di riposo al giornalista.
Certamente il MacBook Pro 13 non è un computer “magico”, i limiti ci sono, come per tutti i manufatti: sotto carico di lavoro molto forte la batteria si consuma rapidamente (anche se il computer non scalda in modo sostanziale) e la memoria si può saturare usando molti software contemporaneamente, rallentando così la morbidezza di funzionamento, soprattutto se si abusa di pagine web caricare in Chrome, non ancora ben ottimizzato, e anche in Safari e Firefox. Tuttavia, per essere il primo chip Apple Silicon, e per di più destinato alle macchine entry level della linea di Apple, può sembrare che faccia davvero miracoli.
A riprova di questa idea, in questa fase sia i tester di questa generazione di computer basati su M1 che gli utenti che postano sui forum come Reddit, sia in Europa e negli Usa, hanno espresso un consenso praticamente unanime: si tratta di un computer fenomenale con un chip altrettanto fenomenale. La vera domanda è: ora che confermato le prestazioni raggiunte, com’è possibile che Apple abbia guadagnato un tale vantaggio rispetto a tutto il resto del settore? Perché il mercato è stato scosso dall’introduzione di questo computer e le ripercussioni sono arrivate sino al vertice di Intel, dove è “saltato” il numero uno Bob Swan a due anni dalla nomina, sostituito da Pat Gelsinger, già Ceo di VMware da dieci anni dopo essere stato per trenta in Intel.

Il segreto del chip M1 è un po’ più complesso che dire che si tratta dello stesso chip dell’iPhone e dell’iPad, ottimizzato per il software e il sistema operativo del Mac. Ci sono scelte tecnologiche e strategiche che sono state molto coraggiose, e che sono state supportate dal partner chiave di Apple, cioè la taiwanese Tsmc, che riesce a produrre volumi elevatissimi di chip per conto di Apple con lavorazioni molto più precise e raffinate di quelle ottenute da Intel: processi di produzione a 5 nanometri che permettono di stipare 16 miliardi di transistor nel SoC. I “segreti” in realtà sotto gli occhi di tutti sono tre, a partire proprio da quello della produzione dei chip.
Il primo segreto di Apple
In pratica, Apple è anche il progettista dei suoi microchip. Ma non è così semplice come dirlo. L’azienda ci arriva con una esperienza ultradecennale (il primo chip progettato da Johny Srouji per Apple e prodotto da Samsung venne impiegato sia nell’iPhone 4 che nel primo iPad del 2010) ma anche grazie ad acquisizioni strategiche come SemiPA, azienda specializzata nella realizzazione di chip, comprata parecchi anni fa.
I progettisti di chip, cervelli e talenti unici, sono fondamentali: sono pochi e bravi e possono decretare il successo della strategia innovativa di un’azienda. Non a caso molti ricercatori di Apple sono stati assunti da Tesla, che ha poi realizzato il suo chip “fatto in casa” ottimizzato per la guida intelligente e che sta rivoluzionando quel mercato. Apple inoltre ha un vantaggio competitivo derivante dal fatto che Arm è stata fondata nel 1990 da Apple stessa insieme ad Acorn Computers e VLSI Technology. Nelle pieghe dell’atto di fondazione c’è anche il diritto per Apple di poter sfruttare le tecnologie di base di Advanced RISC Machines senza pagare le royalties. Tuttavia, Apple non ha la capacità di produzione dei chip: nel settore si dice che è “fabless”, come succede per Amd, per esempio.
La casa di Cupertino si appoggia ai taiwanesi di Tsmc per realizzare i suoi prodotti e mai matrimonio tecnologico fu più azzeccato. Tsmc ha una capacità superiore a quella di Intel, intesa perfetta con Apple e non ha mai “venduto” alla concorrenza nessuna delle innovazioni fatte per Apple, come invece pare abbia fatto nel tempo Foxconn per quanto riguarda la componentistica degli iPhone.

Il secondo segreto di Apple
Paragonare uno Snapdragon di Qualcomm a un chip M1 di Apple è come paragonare un monopattino elettrico a una Tesla. Il SoC di Apple è stato progettato per carichi di lavoro completamente diversi, e soprattutto per fare molto bene cose specifiche non solo rispetto ai processori Intel ma anche rispetto alla logica di funzionamento dei software. L’integrazione verticale infatti vuol dire non solo che l’M1 è davvero un intero sistema su un chip, cioè che tutto quanto serve al computer è dentro il package dell’M1. Ma anche che Apple ha portato avanti all’estremo la filosofia già presente nei chip degli iPhone e iPad, nonché nel software non solo di Apple ma anche della società in cui è stato progettato, cioè la NeXT di Steve Jobs.
Come è stato spiegato, Apple da anni si è focalizzata nel migliorare il funzionamento delle tecnologie software di base del suo sistema operativo. E soprattutto nel tenere sotto controllo l’uso della memoria da parte del software, con un livello di microgestione estremamente spinto dal punto di vista tecnico ma che ha sostanzialmente spinto l’azienda a investire moltissimo in una direzione tecnologica (reference counting per Apple) che tutti gli altri produttori (Microsoft, Intel) ha invece deciso di non seguire, preferendo un’altra modalità (la tracing garbage collection).
fun fact: retaining and releasing an NSObject takes ~30 nanoseconds on current gen Intel, and ~6.5 nanoseconds on an M1
— David Smith (@Catfish_Man) November 10, 2020
Apple ha integrato queste scelte tecnologiche nel silicio che ha progettato. E questo ha reso non solo l’uso della memoria estremamente più efficiente ma anche molto più rapido: più di cinque volte rispetto ai processori Intel. E questo consente ad Apple di creare SoC sia per i tablet, telefoni e ora Mac con meno memoria della controparte Intel e Qualcomm ma che vanno più veloci.
Questo è un vantaggio che non può essere colmato dalla concorrenza semplicemente scrivendo programmi diversi, perché si basa su scelte architetturali completamente differenti: anche ricompilando Windows per processore Arm-M1 le prestazioni non riuscirebbero a toccare quelle di macOS.
Inoltre, in questo modo lo sviluppo di software nativo su Mac è diventato molto più performante rispetto alle tecnologie web (che in questi ultimi anni stanno cercando di “conquistare” lo spazio del software scritto per essere installato nei computer) perché le app native possono beneficiare della velocità della memoria senza problemi di limitazioni mentre le app web ed Electron (cioè Javascript) gestiscono la memoria peggio e quindi performano peggio.
Il terzo segreto di Apple
Se il primo segreto è la progettazione integrata in casa dei chip e il secondo ha a che fare con le scelte di ottimizzazione delle architetture hardware e software sulla base di una vera e propria scommessa tecnologica – la diversa gestione della memoria – partorita alla fine degli anni Ottanta ma che ancora oggi si è rivelata vincente, c’è un ulteriore livello di scelta che è quasi filosofica anche se ha implicazioni fenomenali anche sui modelli di business.
Partendo dal chip M1, Apple non sviluppa processori ma veri e propri computer su un unico chip. E lo fa seguendola strada opposta a quella di Intel e Amd: sviluppa tanti chip specializzati, che sono cioè in grado di compiere determinati compiti in maniera più efficiente di un chip generalista, e di farlo a una velocità maggiore e con consumi e dispersione termica inferiore. È un approccio all’opposto a quello di Amd e Intel, che realizzano Cpu generaliste basate sui propri brevetti (proprietà intellettuali) da mettere su schede madri compatibili di produttori diversi per venderle a un numero ancora più ampio di produttori di computer. Il guadagno, per Amd e Intel, sta nell’esclusività della proprietà intellettuale sui loro chip, in modo tale da poterli vendere a più produttori di computer diversi possibile, realizzando cioè chip indifferenziati per tutti.
Invece Apple gioca una partita completamente diversa, basata sulla integrazione verticale. Questo significa non solo aver scelto delle tecnologie differenti e specializzate, ma anche aver capito che nel mondo dei SoC si assemblano proprietà intellettuali di produttori diversi creando un prodotto unico e su misura per i propri bisogni. È quello che fa Apple: un SoC unico che solo lei può usare perché ottimizzato per le sue strategie e tecnologie.
Questa è una strada che è commercialmente impossibile per Intel e Amd, che non possono fare scelte così radicali perché non sarebbero più accettate dai produttori finali di computer. Intel e Amd potrebbero farlo solo se cominciassero a realizzare anche i prodotti finiti, cioè un intero personal computer. Proprio come fa Apple.
Lo stesso problema si ha anche con Qualcomm nel settore dei SoC Arm, ma l’azienda di San Diego paga in questo caso anche un ritardo nello sviluppo tecnologico e nelle scelte tecnologiche del settore (si vedano i “segreti” di Apple numero uno e soprattutto due) per cui non pone sostanzialmente un problema alla casa di Cupertino.

Conclusione
Per la prima volta in quasi due decenni, gli utenti Mac possono usare processori superiori ai chip x86 dei PC Windows. Dal 2006 i Mac e i Pc hanno utilizzato gli stessi processori, ma ora Apple ha deciso di usare il proprio silicio per supportare il proprio sistema operativo, e lo fa in maniera innovativa. Non è solo una questione di prestigio nelle guerre sui forum “Mac-vs-Pc”. Invece, si tratta di un livello di integrazione verticale mai visto prima nel settore.
Apple ora controlla, oltre al suo sistema operativo, anche il design della CPU. Si affida a terze parti solo per la produzione e componenti standardizzati come la memoria, i display, il touchpad e così via.
L’architettura Arm offre maggiore efficienza e scala meglio di quella x86. I chip di Intel, generazione dopo generazione, non forniscono più miglioramenti sostanziali delle prestazioni, anche se va notato che Amd sta facendo meglio con i suoi processori Ryzen. I chip progettati da Apple invece evolvono più velocemente e offrono miglioramenti significativi delle prestazioni dopo ogni generazione.
In meno di dieci anni i chip per smartphone Axx di Apple sono riusciti a raggiungere il livello delle cpu notebook x86 di Intel, e adesso la serie M le ha superate. Se i miglioramenti delle prestazioni continueranno anche con le prossime iterazioni dei processori Mxx, Apple si troverà in una posizione molto forte per gli anni a venire.
Il MacBook Pro 13 M1 che abbiamo provato ne è la dimostrazione vivente: è una macchina superiore non solo ai suoi pari (gli altri computer di Apple) ma sostanzialmente alla quasi totalità della concorrenza nel settore. Se Apple non si siederà sugli allori, il suo vantaggio difficilmente sarà colmato nel breve periodo.
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