Covid-19, cosa racconta l’analisi dell’Istituto superiore di sanità sui contagi nelle scuole


Oltre 3mila i focolai nelle scuole, numero “sottostimato” per lo stesso Iss. Nonostante l’opinione che le scuole siano “relativamente sicure”, si preme per una riapertura vincolata al rispetto delle norme igieniche e di distanziamento, oltre che al contact tracing

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(foto: Antonio Masiello/Getty Images)

Rispetto alla diffusione del Sars-Cov-2, nei giorni in cui si discute della riapertura dopo il 7 gennaio, le scuole sono “ambienti relativamente sicuri” e si ritiene che “il loro ruolo nell’accelerare la trasmissione del nuovo coronavirus in Europa sia limitato”. Questo a patto che si mantengano “precauzioni ormai consolidate quali indossare la mascherina, lavarsi le mani e ventilare le aule”.

Sono queste le conclusioni alle quali arriva il rapporto Apertura delle scuole e andamento dei casi confermati di Sars-Cov-2: la situazione in Italia appena pubblicato dall’Istituto superiore di sanità. Un report secondo il quale sono però più di 3mila i focolai legati ad ambienti scolastici, numero che lo stesso Iss definisce però “sottostimato”.

Intanto, concentriamoci i contagi. Secondo questa analisi, tra il 24 agosto e il 27 dicembre sono stati 203.350 i positivi al Sars-Cov-2 in età scolare, tra i 3 e i 18 anni di età. Si tratta dell’11% del totale di quelli registrati, un dato che oscilla tra l’8,6% della Valle d’Aosta e il 15% della provincia autonoma di Bolzano. Il picco si è avuto nella settimana compresa tra il 12 ed il 18 ottobre. Questa, invece, la distribuzione per fasce d’età:

Si è visto, dunque, un impatto dopo la riapertura delle scuole? Stando al comunicato con cui l’Iss ha diffuso il report, no. “Nel mese di settembre 2020”, si legge, “l’andamento dei casi di Covid-19 nella popolazione in età scolastica ha seguito quello della popolazione adulta, rendendo difficile identificare l’effetto sull’epidemia del ritorno all’attività didattica in presenza”.

Si nota invece come pur mantenendo le scuole primarie in presenza, “la curva epidemica mostra a partire da metà novembre un decremento evidenziando un impatto sicuramente limitato dell’apertura delle scuole del primo ciclo sull’andamento dei contagi”. Il che suggerisce che ad influire sui contagi possa aver inciso soprattutto il contesto extrascolastico.

In generale, l’incidenza ogni 100mila persone dei positivi in età scolare è più bassa di quella nella popolazione generale. Se però si scompongono i valori per fascia di età, si nota che sono più alti per chi frequenta le scuole secondarie. Ovvero quegli istituti che dall’inizio di novembre sono passati alla didattica a distanza. Questo il quadro:

Fino a qui i numeri fanno però riferimento ai contagi tra chi ha tra 3 e 18 anni e quindi, verosimilmente, frequenta la scuola. Ma non indicano necessariamente contagi legati all’ambiente scolastico. Lo fanno invece i focolai, che Iss ha censito nel suo rapporto. Questa la situazione:

In totale sono 3.174 i focolai all’interno delle scuole. Un numero che lo stesso Iss definisce “sottostimato” per diverse ragioni. Intanto perché ogni regione aveva criteri propri per definire un focolaio scolastico come tale. Inoltre la seconda ondata ha comportato una “ridotta capacità di tracciamento dei contatti” e quindi minore possibilità di arrivare al luogo in cui è avvenuto il contagio. Infine, come il lettore può verificare dal grafico, mancano del tutto i dati relativi a Basilicata, Campania, Liguria, Molise, Sardegna e Valle d’Aosta.

Non bastasse tutto questo, “non è disponibile l’informazione sul numero di casi coinvolti in ciascun focolaio”. Non esiste, in altre parole, un numero che consenta di stimare quanti siano i casi di positività al Sars-Cov-2 che sono verosimilmente legati all’ambiente scolastico.

Da notare, inoltre, che nell’individuare i focolai all’interno delle scuole, l’Istituto superiore di sanità ha utilizzato dati provenienti da regioni e province autonome. Non vengono mai citati, nel rapporto, i dati raccolti dal Miur, quelli ottenuti, pubblicati da Wired grazie a un Foia e definiti “una cantonata” dalla ministra Lucia Azzolina che rivendicava invece di averli inviati all’Iss. L’Istituto superiore di sanità, almeno in questo rapporto, sembra aver preferito non utilizzarli.

In conclusione, l’Istituto superiore di sanità afferma che “la decisione di riaprire le scuole comporta un difficile compromesso tra le conseguenze epidemiologiche e le esigenze educative e di sviluppo dei bambini”. Occorre in altre parole garantire un bilanciamento tra “le esigenze della didattica e quelle della sicurezza”.

Il che significa che “le scuole devono far parte di un sistema efficace e tempestivo di test, tracciamento dei contatti, isolamento e supporto con misure di minimizzazione del rischio di trasmissione del virus, compresi i dispositivi di protezione individuale e un’adeguata ventilazione dei locali”. Tutte misure che devono essere estese anche alle attività extra-scolastiche.

Dato però che con la pandemia dovremo convivere ancora per diversi mesi, “c’è un urgente bisogno da parte di identificare le modalità più idonee per riportare in sicurezza gli studenti alla didattica in presenza”. Servono insomma ulteriori studi, dedicati innanzitutto a capire come il Sars-Cov-2 colpisca i più giovani.

Soprattutto, “gli studi potrebbero non essere in grado di valutare l’impatto della sola chiusura delle scuole se le chiusure sono attuate a livello nazionale e contemporaneamente ad altre misure di mitigazione”. Provvedimenti uniformi a livello nazionale, come quelle che il governo si prepara ad assumere, non consentirebbero di capire quale sia il ruolo delle scuole nella diffusione del virus.

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