
La serie del weekend è Romulus, esempio perfetto dello stile innovativo italiano
Il villaggio di capanne realmente costruite e realmente abitabili, i voli dalle scarpate e un cadavere tagliato a metà. Ecco come viene girata e pensata la serie italiana più innovativa e che cosa la distingue dalle produzioni americane
Prima di Romulus c’è stato Il primo re. Ma non doveva essere così.
L’idea di Matteo Rovere era di fare subito una serie sulle origini di Roma; tuttavia, quando ha iniziato a cercare di mettere in piedi il progetto, è stato chiaro che sarebbe stato più fattibile in quel momento farne un film. È così è partito Il primo re, anche se quasi subito Groenlandia (la società di Matteo Rovere che ha prodotto il film) ha lavorato per chiudere anche la serie che, non a caso, è stata annunciata poco dopo. È una vera operazione industriale: il film fa da apripista, rende noto il marchio, crea una proprietà intellettuale e fa conoscere uno stile visivo con cui raccontare quell’epoca, e poi la serie lo capitalizza.
In tutto e per tutto Il primo re, che comunque è un film a sé, ambizioso e pieno di novità per il panorama italiano, ha funzionato anche come grandissima prova generale. Una serie va girata più in fretta di una pellicola, è una macchina che corre veloce, con l’esperienza maturata sul set del film, problemi, questioni e soluzioni erano già a portata di mano. È una specie di modello italiano, per il quale le serie più importanti e internazionali vengono sempre dopo il grande schermo. Romanzo Criminale, Gomorra, Suburra (ma ci fu anche Non pensarci) sono figli dei rispettivi film e ambientati in una sorta di universo alternativo, non portano avanti la medesima storia della pellicola ma la riraccontano diversamente.
Così anche Romulus fa la scelta di ripartire da capo con un altro spirito. Se Il primo re era la mitologia della fondazione di Roma, un film con Dio come villain, fatto di un destino ineluttabile che tutti fuggono, Romulus è una serie politica, non il mito della fondazione ma la versione romanzata di come probabilmente è andata. Questione di tribù riunite sotto un unico re e di una lotta per diventarne il capo, lotta del potere in una grande arena come molta della serialità moderna racconta (sia le nostre serie come Gomorra o Suburra, sia Game of thrones o House of Cards), convenienze e violenza con una parte minoritaria di animismo e visioni. L’idea è tutta lì, ed è molto forte, anche perché è fondata su una produzione di livello.
Il set di Romulus si trova ovviamente poco fuori Roma, è un villaggio di capanne realmente costruite e realmente abitabili che poi viene esteso con il digitale. È la versione potenziata del medesimo villaggio presente ne Il primo re e, con ottica sempre molto industriale, è stato pensato per rimanere in piedi tutto l’anno, magari come attrazione, e non dover essere ricostruito per ogni stagione. Anche se adesso, con l’arrivo della pandemia e tutti gli stop forzati, non è chiaro come siano messi, forse è diventato più conveniente smontarlo e rimontarlo.
Ogni puntata contiene almeno una sequenza complicata e d’azione, ci sono strutture imponenti, come il cadavere di un animale gigante nella terza puntata, ci sono i voli dalle scarpate e una tribù di uomini dipinti di nero. E c’è una delle migliori fusioni che abbiamo visto fino a oggi delle convenzioni del racconto all’americana (in cui bene e male sono ben chiari e divisi) con le novità più interessanti delle nuove serie italiane (in cui gli antieroi protagonisti sono sempre giovani che cercano di scalzare i vecchi dal potere).
Infine gli attori. Se la nuova serialità americana per tutta la sua lunga prima parte (gli anni 2000) ha utilizzato in linea di massima interpreti di stampo televisivo e solo poi quelli del cinema, la serialità italiana è fondata sui volti nuovi da lanciare (anocra a partire da Romanzo criminale). Così se Il primo re aveva Alessandro Borghi, Romulus ha Marianna Fontana, il nome più noto, unito a facce storte, primitive, segnate da una vita dura, sfigurate. Come sempre, per noi è importantissimo l’artigianato. È fondamentale il set costruito davvero, è necessario il trucco e l’effetto pratico. Sempre nel terzo episodio c’è un cadavere tagliato a metà che è l’esempio perfetto della precisione e del nostro modo di creare la finzione, cioè partendo dalla realtà e da qualcosa di materiale. Certo, non manca la computer grafica in abbondanza, per forza è così, ma sappiamo anche che il settore in cui corriamo come centometristi è quello del lavoro con le mani.
È così, con piccoli avanzamenti in una direzione comune, con prodotti di genere diverso ma accomunati da un modo di fare unico, che si crea uno stile riconoscibile a prescindere dal titolo e che si alza la qualità media. Chi ha lavorato sul set di Gomorra ha imparato a fare cose che prima non sapeva fare, alla serie successiva aveva già quel know how e ne ha sviluppato altro che ha portato anche nei progetti minori a cui ha partecipato. Così si eleva tutta la competenza di un intero settore.
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